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venerdì 24 luglio 2020

La legge dell'impatto sociale della tecnologia digitale

di Enrico Nardelli

La legge dell’impatto sociale della tecnologia digitale – «L'impatto sociale della tecnologia digitale è imprevedibile, anche tenendo conto della Legge dell'impatto sociale della tecnologia digitale.»

Questa variazione della Legge di Hofstadter (l'indimenticabile autore di "Gödel, Escher, Bach") sulla pianificazione delle attività («Per fare una cosa ci vuole sempre più tempo di quanto si pensi, anche tenendo conto della Legge di Hofstadter») mi è venuta in mente qualche tempo fa, quando partecipavo al dibattito sulle applicazioni di tracciamento digitale dei contatti per la gestione della pandemia del Covid-19. Centralizzato o decentralizzato, anonimo o pseudonimo, volontario od obbligatorio, dalla libertà individuale più sfrenata al controllo sociale più orwelliano.

Ho partecipato ad alcune discussioni più tecniche e dato qualche contributo informativo sulle disposizioni legislative in merito, ma sempre più forte sta crescendo dentro di me la convinzione che la maggior parte delle persone non si rende conto fino in fondo di quanto sia delicata l'intersezione tra la tecnologia digitale e la società umana (e, quindi, di quanta prudenza andrebbe adoperata).

Personalmente tendo a giustificare tale incomprensione, perché il grosso dell'umanità convive con strumenti digitali da neanche un ventennio, nel quale molto poco è stato fatto dai governi per insegnare qualche concetto fondamentale. D’altro canto, si tratta di tecnologie più dirompenti di quella della stampa a caratteri mobili, più sconvolgenti della rivoluzione industriale.

Se guardiamo con un po' di distacco l'evoluzione dell'umanità negli ultimi cinquemila anni (grosso modo il periodo in cui sono nate civiltà un po' più socialmente evolute di una tribù) ci rendiamo conto che i progressi tecnologici hanno avuto modo di essere assorbiti e digeriti per generazioni e generazioni, nel corso delle quali le società avevano il tempo di adattare le loro strutture sociali a quanto stava accadendo.

Con la diffusione della tecnologia digitale è invece accaduto che in brevissimo tempo sono state sovvertite un paio di leggi della natura che, nel bene e nel male, hanno sempre regolato la nostra esistenza.

La più importante è quella che ci ricorda che ogni cosa, prima o poi, finisce. Ogni essere vivente prima o poi muore e con la sua morte spesso cadono nell'oblio le sue azioni e le sue relazioni. Nella nostra vita digitale ciò non succede, e man mano che le rappresentazioni digitali diventano sempre più sofisticate questo sovvertimento urta sempre più in conflitto con il senso comune. Certo, anche secoli fa avevamo statue che ricordavano ai posteri fattezze e gesta dei personaggi famosi, ma adesso l'eternità (digitale) è alla portata di tutti.

In secondo luogo – e connesso con il primo elemento "sovversivo" – vi è il superamento delle barriere spazio-temporali che rendono la replicazione di qualunque artefatto digitale pressoché istantanea e ubiqua. Il nostro "doppio digitale" può essere replicato quante volte si vuole, dove si vuole, senza fatica, obiettivo possibile solo agli dèi, prima d'ora.

A causa del superamento di queste due “colonne d'Ercole” un segreto digitale – una volta svelato – vivrà in eterno ed in tutto il mondo. Non è un caso che il fondamentale diritto naturale all'oblio ha avuto bisogno di un'esplicita normativa per poter essere riconosciuto dalla società digitale. E non è accaduto subito, e non è accaduto in modo incruento: esistenze sono state spezzate prima di arrivare a porvi rimedio.

L'aver scardinato questi limiti invalicabili nel rapido spazio di una sola generazione ci ha portati in un territorio del tutto inesplorato, in cui rischiamo di fare la fine di Ulisse nell'inferno dantesco:
Tre volte il fé girar con tutte l’acque
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com’altrui piacque,
infin che ’l mar fu sovra noi richiuso.
Il problema è espresso dalla Legge che ho sopra enunciato, cioè che non riusciamo a capire l'impatto di questa tecnologia perché troppo "aliena" rispetto a noi (riascoltate questa riflessioni su Internet di David Bowie di 10 anni fa) e perché la combinazione a crescita esponenziale delle interazioni tra tecnologie e situazioni va al di là delle nostre possibilità di comprensione.

Eppure dovremmo sapere, visto che da scimmie nude ci siamo trasformati nei (quasi) signori e padroni di questo pianeta, che tutto quello che è disponibile verrà sfruttato in tutti i modi possibili. E non siamo in grado di prevederne le conseguenze. Le possibili combinazioni ed interazioni richiederebbero quindi di procedere con piedi di piombo, mentre invece sembra che stiamo correndo bendati verso il precipizio.

Dunque, cerchiamo di essere molto, ma davvero molto, prudenti ogni volta che prendiamo in mano la "bacchetta" del digitale. Rischiamo di trovarci nella stessa situazione dell'apprendista stregone, ma senza un maestro in grado di rimettere le cose a posto.

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Versione originale pubblicata su "Key4Biz" il 21 luglio 2020.

mercoledì 1 luglio 2020

Il nostro “doppio digitale” necessita di diritti costituzionali?

di Enrico Nardelli

(english version here)

Nel corso degli ultimi settant’anni l’informatica, la scienza che ha reso possibile la realizzazione del mondo digitale, ha causato una rivoluzione sociale di portata inaudita, i cui effetti non sono stati ancora compresi nella loro pienezza.

Lo ha ribadito di recente Antonello Soro, Presidente dell’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali, nel discorso di presentazione della relazione annuale 2019 dell’Autorità, descrivendo l’innovazione digitale come «...“fatto sociale totale” capace di inscrivere in nuove coordinate un’intera costruzione del mondo e la sua stessa antropologia» e ricordando «l’insidiosa vulnerabilità del nostro io digitale».

Ho quindi riflettuto, da comune cittadino ma anche da esperto di informatica, se questo nuovo “fatto sociale totale” sia adeguatamente considerato a livello costituzionale.

Altre innovazioni (p.es., la televisione e l'aeroplano) hanno cambiato la nostra società in modo incredibile nello stesso periodo. Le esigenze umane su cui esse hanno effetto, però, essendo state tutelate dalla nostra Costituzione non in riferimento alla tecnologia con cui possono essere soddisfatte ma in relazione ai diritti fondamentali che esprimono, non hanno avuto bisogno di nessun adattamento, nonostante gli avanzamenti della tecnica. Poter comunicare con qualcuno o raggiungere fisicamente un posto sono, ad esempio, esigenze imprescindibili per una compiuta espressione delle relazioni sociali, ma gli artt. 15 e 16 della Costituzione mantengono intatta tutta la loro validità, pur avendo noi oggi a disposizione strumenti di comunicazione e sistemi di trasporto difficilmente prevedibili dai padri costituzionali.

L’avvento prima dell’elettronica e poi dell’informatica ha trasformato profondamente anche il mondo dei media, ma quanto scritto nell’art. 21 non ha avuto bisogno di alcun cambiamento. Si è discusso e si discute, è vero, se le reti sociali rese possibili da Internet non debbano ricevere una menzione nella nostra carta fondativa, ma sinora non c’è alcuna definitiva conclusione.

In prima approssimazione potrebbe quindi sembrare che non ci sia niente di nuovo.

L’inviolabilità della nostra libertà personale, così come del nostro domicilio e delle nostre comunicazioni, continua a rimaner garantita nella sfera digitale dagli stessi articoli (artt. 13, 14 e 15) che la assicurano nel mondo fisico.

Osservo, però, che l’insieme dei nostri dati digitali, aggregati e correlati, costituisce ciò che chiamo il nostro “doppio digitale” ovvero la proiezione di noi stessi in quella nuova dimensione del mondo che si è manifestata in tutta la sua importanza solo con lo sviluppo della tecnologia digitale.

Questo elemento è stato enfatizzato nel discorso di Soro, quando ha ricordato che «La traslazione, mai così totalizzante, della nostra esistenza individuale e collettiva nella dimensione immateriale del web, espone infatti ciascuno di noi – in primo luogo attraverso i propri dati – alle sottili ma pervasive minacce di una realtà, quale quella digitale, tanto straordinaria quanto poco presidiata» e che «la protezione dati, regolando le condizioni per la circolazione di ciò che, come il dato, rappresenta l’elemento costitutivo del digitale, si è rivelata un presupposto ineludibile di ogni possibile equilibrio tra l’uomo e la tecnica».

Mi chiedo, allora: se questo aspetto è qualcosa che ha arricchito il tipo di persone che siamo, perché non viviamo e non esistiamo più soltanto nello spazio fisico, ma abbiamo delle estensioni, delle proiezioni, nel mondo digitale, chi presidia questa realtà così importante?

Certo, abbiamo il GDPR (General Data Protection Regulation – il regolamento europeo per la protezione dei dati personali), una norma di cui in Europa possiamo essere fieri per come definisce con precisione e rigore i limiti dell’utilizzo della miriade di byte che ci lasciamo dietro interagendo a piè sospinto con dispositivi e sistemi digitali, e la normativa italiana in materia, di cui l’Autorità presieduta da Soro è il sommo custode.

Mi interrogo, però, se non ci siano dei diritti non presidiati dall’attuale Costituzione. Non è, forse, rimasto sguarnito il diritto a preservare la nostra identità, che a questo punto non si estrinseca più soltanto nel mondo fisico ma anche in quello digitale?

L’art. 22 protegge alcuni aspetti relativi all’identità: cittadinanza, nome, capacità giuridica. Al momento in cui è stata scritta, questi aspetti erano tutto quello che serviva. L’esplosione del mondo digitale ne ha però messo in luce altri, quelli relativi alla “proiezione digitale della nostra identità”, che forse potrebbero richiedere una tutela dello stesso rango legislativo. Non perché siano “nuovi”: l’umanità registra dati sul mondo da migliaia se non decine di migliaia di anni. Ma perché dall’essere una componente del tutto trascurabile della nostra esistenza ne sono diventanti una parte rilevante ed importante e, come ci ha purtroppo insegnato l’emergenza sanitaria di questo periodo, di cui non si può più disinteressare.

Sempre Soro ha osservato la natura particolarmente delicata di quest’area, evidenziando che «La devoluzione alla dimensione immateriale di pressoché tutte le nostre attività non è un processo neutro, ma comporta, se non assistito da adeguate garanzie, l’esposizione a inattese vulnerabilità in termini non solo di sicurezza informatica ma anche di soggezione a ingerenze e controlli spesso più insidiosi, perché meno percettibili di quelli tradizionali.»

In astratto, la dimensione dei dati è sempre esistita, ma in concreto ha sempre avuto uno “spessore” trascurabile. L’esplosione dei sistemi digitali l’ha però enormemente accresciuta (e sempre di più lo farà in futuro) ed è ormai componente integrante e costitutiva della nostra vita personale e sociale.

Questa fortissima ed incontrollata crescita della dimensione dei dati è stata rimarcata dallo stesso Soro che, in una precedente occasione, ha sottolineato che «Bisogna promuovere una forte regolazione del digitale ... per proteggere i dati più rilevanti ... e costruire garanzie ulteriori» e che pertanto «il primo punto è proteggere la persona digitale».

Non sono quindi l’unico a pensare che sia giunto il momento di predisporre “adeguate garanzie”.

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Versione originale pubblicata su "Key4Biz" il 26 giugno 2020.