di Enrico Nardelli
In un mio recente articolo ho discusso delle relazioni tra informatica e coding nell’ambito dell’istruzione scolastica. Ne è scaturito un interessante dibattito sui social, nel corso del quale c’è chi ha “parteggiato” per il coding e chi per l’informatica. Dal momento che il coding (cioè la programmazione informatica) è parte dell’informatica (come discusso qua, qua e qua) ritengo utile sentire un’autorevole posizione a proposito di cosa vada insegnato a scuola.
Nel novembre scorso vi è stato in Argentina l’incontro dei Ministri dell’Istruzione del G-20. In occasione di questo incontro, dedicato allo sviluppo sostenibile, si è parlato dei problemi dell’alfabetizzazione digitale: Hadi Partovi, fondatore e CEO di Code.org ha tenuto un appassionato discorso su cosa è necessario fare per preparare i ragazzi in modo adeguato alla società digitale.
Dopo aver ribadito che l’insegnamento della matematica e delle altre scienze è fondamentale, Partovi sostiene che, così come insegniamo a svolgere divisioni e come funziona il corpo umano, è altrettanto importante insegnare cosa sono gli algoritmi e con che princìpi funziona Internet. Il problema è che, in generale, nelle scuole di tutto il mondo ci si focalizza spesso solo su come usare la tecnologia digitale. Dobbiamo invece insegnare come creare, come capire e come sfruttare questa tecnologia. A questo scopo, ha esplicitamente sostenuto che bisogna imparare l’informatica. Qua sotto un immagine del passaggio cruciale del suo discorso.
Ha sottolineato che il punto focale non è imparare il coding, nonostante la sua organizzazione si chiami, appunto, Code.org. Lo snodo è imparare l’informatica (ha usato computer science, il termine inglese per l’informatica), una disciplina scientifica che, ha ricordato, «include la programmazione, gli algoritmi, la data science, le reti, la sicurezza informatica, la robotica, l’intelligenza artificiale», e molto altro ancora.
Ricordo che Code.org ha lanciato l’evento educativo con la maggiore partecipazione al mondo, l’Ora del Codice (the Hour of Code – in cui sostanzialmente si esortano i ragazzi a programmare il computer), trasformando così il coding in un fenomeno di massa globale. Attraverso Programma il Futuro, il progetto che coordino, l’Italia è dopo gli Stati Uniti, il secondo paese al mondo per partecipazione, grazie all’impegno degli insegnanti iscritti al progetto.
Quindi, nonostante Hadi Partovi sia forse il principale artefice della “coding mania”, è convinto – e lo ha ripetuto di fronte ai Ministri dell’Istruzione del G-20 – che la soluzione non sia insegnare il coding, ma l’informatica. Ecco il suo discorso integrale doppiato in italiano. Più recentemente Partovi ha ribadito la stessa posizione in suo intervento al Word Economic Forum di Davos. Grazie all’opera di Code.org e della coalizione CSforAll ("Informatica per tutti" – di cui fanno parte tutte le maggiori aziende americane operanti nel settore delle tecnologie e servizi informatici) gli USA hanno inserito l’informatica (non il coding!) tra le materie di cui la legislazione scolastica federale richiede l’insegnamento per tutti i ragazzi e 44 stati su 50 l’hanno introdotta come materia obbligatoria nei programmi scolastici.
È quindi fondamentale insistere sull’importanza di una seria formazione scientifica sull’informatica fin dai primi anni di scuola. A tal scopo la comunità universitaria dell’informatica ha da tempo presentato al Ministero dell’Istruzione una proposta organica, basata su molteplici pluriennali esperienze sul campo. Siamo consapevoli che non si tratta di un’operazione semplice, nel contesto della scuola italiana. Ma pensiamo per un attimo di fare “tabula rasa” dei programmi scolastici e di voler riempire questo foglio bianco con quanto serve per preparare cittadini in grado di operare nella società digitale con sufficiente conoscenza delle questioni in gioco. Possiamo lasciar fuori la scienza che spiega e rende possibile questa società?
Recentemente alla Camera si è dibattuto di iniziative per lo sviluppo della formazione tecnologica e digitale in ambito scolastico, ma – pur essendo consapevole che il linguaggio della politica è diverso da quello della scienza – osservo che c'è ancora molto da fare in termini di diffusione di una corretta conoscenza dei termini e delle esperienze svolte.
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Versione originale pubblicata su "Il Fatto Quotidiano" il 20 marzo 2019.
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