Pagine

sabato 15 marzo 2025

A passeggio con l’informatica #23 – Per una visione umanistica del digitale

di Enrico Nardelli

L’insegnamento dei princìpi dell’informatica dovrebbe iniziare fin dai primi anni di scuola. Si tratta di una posizione che la coalizione europea Informatics for All, che ho fondato insieme ad altri colleghi europei quando ero presidente di Informatics Europe, sostiene da molti anni. Recentemente, la richiesta è stata fatta propria dal Consiglio dell’Unione Europea, con la Raccomandazione del 23 novembre 2023 di cui abbiamo parlato proprio nella puntata di introduzione a questo percorso.

La nozione fondamentale che un sistema informatico opera senza alcuna comprensione, da parte del sistema stesso, di ciò che viene elaborato e di come viene elaborato, deve accompagnare l'intero processo educativo. Inoltre, dovrebbe sempre andare di pari passo con la riflessione che il processo di modellare la realtà in termini di dati digitali e di elaborarli mediante algoritmi è un'attività umana e, in quanto tale, può essere influenzata dal pregiudizio e dall'ignoranza, senza che l’individuo possa esserne consapevole. Solo così, infatti, diventa possibile comprendere che qualsiasi scelta, da quelle iniziali relative a quali elementi rappresentare e come rappresentarli, a quelle che determinano le regole del trattamento stesso, è frutto di un processo decisionale umano ed è quindi privo di quell’oggettività che troppo spesso è associata ai processi decisionali algoritmici.

A livello scientifico nel maggio 2019 è nato – anche con il contributo dell’Autore – un movimento che ha prodotto il Manifesto di Vienna per l’Umanesimo Digitale, che ricorda come le tecnologie digitali «stanno minando la società e mettendo in discussione la nostra comprensione di cosa significhi essere umani ». Il Manifesto ricorda che la posta in gioco è alta e l’obiettivo di costruire una società giusta e democratica in cui le persone siano al centro del progresso tecnologico è una sfida da affrontare con determinazione e creatività.

Come tutte le tecnologie, anche quelle digitali non emergono dal nulla. Sono modellate da scelte implicite ed esplicite e, quindi, incorporano un insieme di valori e interessi relativi al nostro mondo. L’insegnamento dell'informatica e la riflessione sul suo influsso sulla società devono quindi iniziare il prima possibile. Gli studenti dovrebbero imparare a unire le competenze informatiche con la consapevolezza delle questioni etiche e sociali in gioco.

Il Manifesto ribadisce l’importanza di sviluppare e progettare le tecnologie digitali in base ai valori e ai bisogni umani quali: democrazia, inclusione, rispetto della privacy, libertà di espressione, valorizzazione delle diversità, uguaglianza ed equità, trasparenza.

Sottolinea inoltre l’importanza di far crescere la consapevolezza sul fatto che le decisioni rilevanti che riguardano gli esseri umani debbano sempre essere prese dalle persone e non dagli algoritmi.

Quest’ultimo è un punto della massima importanza. Infatti, come ha osservato Giuseppe Longo (valente informatico italiano che opera in Francia da molti anni), la distinzione fondamentale introdotta da Alan Turing tra hardware e software, se applicata agli esseri viventi e alla società è una «follia computazionale ». Primo, perché nel mondo biologico non esiste una tale distinzione tra hardware e software. Il DNA, il codice della vita, costituisce il suo stesso hardware. La riscrittura delle rappresentazioni che avviene nelle macchine digitali unicamente attraverso il software è in questo senso diversa dalla trascrizione dal DNA all'RNA che avviene in biologia.

In secondo luogo, perché le fluttuazioni sono completamente assenti nel mondo discreto in cui operano le macchine di Turing, mentre svolgono un ruolo essenziale nei complessi sistemi dinamici che ci circondano. Come notato per la prima volta dal grande matematico francese Henri Poincaré, ciò può risultare nell'imprevedibilità dell’evoluzione di tali sistemi, anche se le leggi che li caratterizzano sono definite deterministicamente.

Terzo, perché un qualunque software è in grado di rappresentare solo un'astrazione di un fenomeno reale. Se questa astrazione può fornire indicazioni preziose sulla sua dinamica, considerare la rappresentazione come il fenomeno stesso è tanto sbagliato quanto confondere la mappa col territorio.

E, infine, i sistemi digitali, una volta posti nelle stesse condizioni di partenza all'interno di uno stesso contesto, calcoleranno in modo identico sempre lo stesso risultato, anche per quei sistemi complessi dove (come ha dimostrato Poincaré) questo è fisicamente assurdo. «Le reti informatiche e le banche dati, se considerate come ultimo strumento di conoscenza o come immagine del mondo » scrive Longo «vivono nell'incubo della conoscenza esatta per puro conteggio, della certezza incrollabile per esatta iterazione, e di una “soluzione finale” di tutti i problemi scientifici ».

Da un punto di vista matematico-fisico, questo atteggiamento è fallace, per diversi motivi. In primo luogo, perché i nostri comportamenti accadono in uno spazio continuo e, come Poincaré aveva per primo intuito, nell’approssimazione che ogni misura compie rispetto a un valore continuo si annida l’impredicibilità dei fenomeni fisici.

In secondo luogo, la quantità di “dimensioni” mediante le quali possiamo “misurare” il nostro comportamento è presumibilmente infinita. In altre parole, un nostro comportamento puntuale potrebbe aver bisogno di un numero infinito di valori per poter essere rappresentato (ognuno dei quali sarebbe comunque sottoposto all’approssimazione precedentemente descritta). Ne consegue, quindi, che nessun dispositivo digitale reale, che è finito, potrebbe fisicamente rappresentare tale quantità infinita di valori, introducendo pertanto una seconda tipologia di approssimazione.

Le conseguenze sociali di questo approccio culturale possono però essere effettivamente terrificanti, come diceva David Bowie nell’intervista ricordata nel precedente post. Questa tendenza, sostenuta da una raccolta dei dati relativi alle nostre attività sempre più pervasiva e sempre più sfuggente al nostro controllo, porta a ridurre l’essere umano a una serie di dati, spingendolo ad agire da meccanismo automatico che ripercorre sempre gli stessi schemi di comportamento. Viene in mente il celeberrimo film “The Truman show”, il cui protagonista era marionetta inconsapevole di una sceneggiatura scritta da altri.

Non sfuggiranno certo al lettore attento i pericoli in termini di controllo sociale che si nascondono dietro il dare per scontata questa visione meccanicistica della società umana, che riconduce l’infinita e sfumata complessità delle nostre esperienze a un insieme finito di bit distinti.

--
Versione originale pubblicata da "Osservatorio sullo Stato digitale" dell'IRPA - Istituto di Ricerche sulla Pubblica Amministrazione il 12 marzo 2025.

Nessun commento:

Posta un commento

Sono pubblicati solo i commenti che rispettano le norme di legge, le regole della buona educazione e sono attinenti agli argomenti trattati: siamo aperti alla discussione, non alla polemica.