di Isabella Corradini e Enrico Nardelli
Un titolo eccentrico, quello di questo articolo. Farebbe pensare alla pulizia degli strumenti digitali. Forse anche di questo bisognerebbe parlare, visto che cellulari, smartphone e tablet sono ormai parte integrante del corpo umano, vuoi per necessità, vuoi per ragioni di dipendenza (inutile negarlo), e la loro pulizia non è sempre curata con la stessa attenzione.
In realtà stiamo parlando di “igiene digitale” in sé e non di quella degli strumenti. Ed il perché è chiaro pensando all’igiene in senso tradizionale. Le sue regole vengono insegnate fin da bambini e sono tra le misure che più hanno contribuito negli ultimi due secoli ad allungare la durata della vita media. Invece nel mondo digitale (che appare virtuale ma a tutti gli effetti è reale) non si sente mai parlare di “norme d’igiene”. C’è chi con il termine “igiene digitale” si riferisce a come ci si relaziona con gli altri sui social oppure a come non diventare schiavi dei propri dispositivi. Invece, per noi si tratta proprio di norme analoghe a quelle dell’igiene fisica, opportune per prevenire malattie.
In questo ambito fu fondamentale la scoperta del medico ungherese Ignaz Semmelweis intorno alla metà dell’ottocento, grazie alla quale vennero salvate le vite di migliaia di donne. Egli osservò che, lavandosi le mani dopo aver fatto l’autopsia e prima di assistere le partorienti, la frequenza della loro mortalità diminuiva fortemente. Lavarsi le mani diventò il rito fondamentale con cui iniziare le operazioni chirurgiche. Non da subito purtroppo, dal momento che questa scoperta – come a volte avviene – richiese ancora qualche decina d’anni per essere accettate e diffondersi.
Per estensione, divenne la norma fondamentale insegnata a tutti i bambini: “làvati le mani”, era ed è l’intimazione dei genitori prima di mettersi a tavola, ed in generale ogni volta che si rientra a casa. L’assunto igienico fondamentale è che “là fuori” c’è un mondo che può essere ostile in termini di microbi e, a maggior ragione quando si tratta di far entrare qualcosa nel nostro corpo, è opportuno prendere delle contromisure.
Se però nel caso fisico può essere semplice far osservare ad un bambino riottoso lo sporco “sotto le unghie” e quindi convincerlo, per il mondo digitale, purtroppo, il passaggio è molto meno immediato. Quante persone, ad esempio, ancora oggi fanno entrare sul proprio dispositivo (PC, tablet, o smartphone) oggetti fisici (p.es., chiavette USB) o virtuali (p.es., allegati) senza la consapevolezza del loro poter essere “infetti”? È anche vero che l’evoluzione di questi “organismi digitali” è avvenuta con una velocità che l’umanità non ha mai incontrato finora: mentre per gli aspetti fisici la generazione degli attuali genitori ha potuto beneficiare dell’educazione in termini di igiene da parte dei loro genitori, per l’igiene digitale siamo stati tutti immersi di colpo nel giro di neanche vent’anni in un mondo per il quale non abbiamo i sensi adatti.
L’analogia comunque vale interamente: il mondo digitale è popolato di “forme di vita” (lasciateci passare questo termine) che non sempre sono benigne nei confronti nel nostro “io digitale”. Virus e worm ad esempio, continuano a diffondersi a ritmi impressionanti, e le precauzioni non sembrano essere mai sufficienti.
Certo, le regole d’igiene digitale possono essere fastidiose, limitare in alcuni casi il nostro raggio d’azione. Qualcuno dirà che possono apparire scontate e che è inutile stare a ripeterle. In realtà non sono pochi coloro che ancora oggi inseriscono chiavette altrui nei propri dispositivi informatici senza opportune verifiche.
Probabilmente il modo migliore per far capire, accettare ed applicare queste regole al contesto digitale è proprio quello di agganciarle concettualmente al mondo fisico: in questo modo le persone riuscirebbero a comprendere meglio che quello che accade nei loro pc e nei loro dispositivi mobili è reale e non virtuale.
In questi casi, c’è però da osservare che la terminologia impiegata non aiuta. Usare parole come “virtuale” o prefissi come “cyber” allontana le persone dalla reale percezione dei pericoli rispetto al mondo fisico, e fa erroneamente ritenere che le norme d’igiene digitale siano irrilevanti.
Ed è forse proprio da questo che si dovrebbe iniziare.
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Pubblicato su "Key4Biz" il 19 aprile 2017.