Insieme al Digital Services Act di cui abbiamo parlato recentemente, il 5 luglio scorso il Parlamento Europeo ha approvato anche la Legge sui Mercati Digitali (Digital Markets Act – DMA). Attraverso questa normativa si introduce l’interoperabilità ob-bligatoria nei mercati digitali: avevo precedentemente illustrato l’importanza di questo approccio che, costringendo i fornitori di diversi servizi a realizzarli interoperabili, rende i mercati contendibili: vuol dire che diversi operatori possono partecipare alla contesa per ottenere la scelta degli utenti nell’uso dei propri servizi senza essere impediti da pratiche scorrette da parte di chi ha maggiori quote di mercato.
A questo scopo il DMA si concentra su alcuni servizi di base e sui fornitori in posizione di dominanza. Ecco i servizi di piattaforma di base (= Core Platform Services – CPS) soggetti alla regolamentazione:
- servizi di intermediazione,
- motori di ricerca,
- reti sociali (= social networks),
- condivisione di video,
- messaggistica,
- sistemi operativi,
- browser web,
- assistenti virtuali,
- cloud computing,
- pubblicità online,
indipendentemente dal fatto che siano forniti tramite dispositivi personali, dispositivi IoT (Internet of Things = Internet delle Cose, l’estensione della comunicazione via Internet a qualunque oggetto) o immersi in altri dispositivi tecnologici (p.es., un’automobile o una televisione).
Per quanto riguarda i fornitori dei CPS, il DMA regolamenta solo quelli denominati gatekeeper, cioè quelli che per le dimensioni della loro utenza sono in grado di controllare interi eco-sistemi. Sono considerati gatekeeper gli operatori che: hanno un valore di mercato di 75 miliardi di euro oppure un fatturato annuale negli ultimi 3 anni nell’Area Economica Europea di almeno 7,5 miliardi di euro, e erogano almeno un CPS in almeno 3 paesi europei con almeno 45 milioni di utenti finali attivi al mese e almeno 10.000 utenti commerciali attivi all’anno per ognuno degli ultimi 3 anni, considerando solo gli utenti che vivono o hanno la residenza nel territorio dell’Unione Europea.
È previsto che i gatekeeper soddisfino una serie di obblighi, tra i quali i più rilevanti sono i seguenti divieti di:
- utilizzare i dati personali per presentare pubblicità mirate,
- combinare dati personali degli utenti con i dati del CPS proprio o di altri fornitori o con dati personali di altri fornitori,
- iscrivere l’utente – a meno di un suo esplicito consenso (col divieto di domandare nuovamente il consenso in caso di diniego per almeno un anno) – ad altri CPS dello stesso fornitore e di imporne l’iscrizione come condizione di utilizzo di un servizio,
- sfavorire utenti commerciali che attraverso la piattaforma del fornitore offrono servizi in competizione con quelli del fornitore stesso,
- imporre agli utenti di utilizzare i browser web o i sistemi di pagamento del fornitore.
Ulteriori obblighi per i gatekeeper riguardano la possibilità per l’utente di cambiare le impostazioni predefinite per un CPS sul proprio dispositivo, potendo disinstallare qualunque servizio preinstallato e scegliere uno dei servizi equivalenti di altri fornitori, fin dal primo utilizzo ed in qualunque momento, e stabilirlo come servizio pre-definito da usare, tranne il caso si tratti di un servizio essenziale per il funzionamento del dispositivo stesso, che non può essere fornito in modo tecnicamente indipendente. Lo stesso vale per ulteriori servizi che l’utente volesse installare sul dispositivo, ai quali deve inoltre essere consentito l’accesso, ai fini dell’interoperabilità, alle stesse componenti software e hardware presenti sul dispositivo per l’erogazione dei CPS forniti dal gatekeeper. L’unica eccezione, che deve essere debitamente giustificata, viene concessa per quei servizi la cui installazione o il cui funzionamento presenti rischi per l’integrità del dispositivo stesso.
Il nucleo delle richieste di interoperabilità viene esplicitato dal DMA per i servizi di messaggistica, per i quali i gatekeeper devono rendere i loro servizi interoperabili con quelli di qualunque altro fornitore che ne faccia richiesta, fornendo a richiesta e a titolo gratuito le specifiche di sicurezza e privatezza e le soluzioni tecniche di interfacciamento eventualmente necessarie. Per quanto riguarda i servizi di comunicazione diretta tra due utenti, la richiesta deve essere soddisfatta entro 3 mesi e deve consentire ai due utenti di scambiarsi testo, immagini, messaggi vocali, video e altri file allegati. Il termine si allunga a 2 anni per la comunicazione tra gli utenti interni a un gruppo (conosciuta popolarmente come chat), comprendendo le stesse forme di quella tra due persone. Un termine di 4 anni è invece previsto per le chiamate vocali o video dirette tra due utenti o all’interno di un gruppo. Nel consentire questa interoperabilità il gatekeeper può scambiare solo dati strettamente necessari e può chiedere alla Commissione l’estensione di tali termini qualora ci siano motivi derivanti dalla necessità di realizzare l’interoperabilità garantendo sicurezza e privatezza. L’estensione dei requisiti di interoperabilità ai servizi dei social network, che nella versione approvata dal Parlamento Europeo a dicembre 2021 era stata prevista da subito, verrà invece valutata dopo 3 anni dall’entrata in vigore del regolamento.
Il punto critico di queste prescrizioni di interoperabilità risiede nella necessità di mantenere sicurezza e privatezza anche quando interagiscono utenti di due operatori diversi. Normalmente, infatti, questi servizi sono protetti da una crittografia “da un capo all’altro” (end-to-end ) che consente di crittare il contenuto del messaggio sullo smartphone di partenza e decrittarlo solo sullo smartphone di destinazione, salvaguardando così il contenuto stesso da ogni possibile intercettazione. Questo è quello che accade tra due utenti di WhatsApp (che è gestito dal gatekeeper Facebook – adesso Meta) o tra due utenti di Signal (che non rientra nella classificazione come gatekeeper ). Ma se un utente di WhatsApp e uno di Signal vogliono comunicare la crittografia non può essere più gestita all’interno di una stessa piattaforma. Sulla base di questa osservazione, a marzo 2022 era nata un’azione di comunicazione che criticava questo requisito, ovviamente sostenuta da chi aveva tutto l’interesse a mantenere lo status quo. Però l’interoperabilità che mantiene la privatezza anche tra due piattaforme diverse è tecnicamente possibile (anche se non facilissima): lo ha dimostrato proprio Meta quando ha realizzato la crittografia “da un capo all’altro” tra la sua piattaforma Facebook e quelle di WhatsApp e Instagram dopo averle acquisite. Sono possibili sostanzialmente due strade da un punto di vista tecnico, una di più immediata realizzazione, l’altra più lenta da costruire.
Per fare un semplice esempio concreto, immaginiamo che Aldo, utente di WhatsApp, voglia mandare un messaggio a Bianca, utente di Signal. In questo caso entrambi gli utenti vengono identificati mediante il loro numero telefonico e questo primo passo è facilmente risolto. In generale può essere complicato visto che piattaforme diverse possono identificare gli utenti con meccanismi diversi, ma è ugualmente risolvibile. Col primo approccio bisogna che, da qualche parte lungo il percorso che va dallo smartphone di Aldo allo smartphone di Bianca, il messaggio “esca” dalla protezione crittografica di WhatsApp ed “entri” nella protezione di Signal. Tecnicamente serve un componente software che si chiama bridge (= ponte). Il problema è che il luogo in cui si trova questo bridge diventa il punto vulnerabile in cui un malintenzionato può cercare di violare la privatezza della comunicazione, perché in quel punto il messaggio non è protetto dalla crittografia. La contromisura migliore è quindi non avere un bridge centralizzato ma avere un componente che svolge questa funzione sullo smartphone di Aldo (per i messaggi che Aldo manda a Bianca, e simmetricamente su quello di Bianca per la comunicazione in verso opposto). Oltre al vantaggio che, distribuendolo su tanti dispositivi viene minimizzato il guadagno per un eventuale attaccante, si ha quello che il dispositivo di partenza è comunque il luogo nel quale il messaggio è presente in forma non crittata. Per realizzare questo, quindi, l’app di WhatsApp dovrà essere estesa a contenere il bridge per Signal e simmetricamente per l’app di Signal. Però, per consentire l’interoperabilità anche con, per esempio, Telegram e Viber (altre due applicazioni di messaggistica), l’app di WhatsApp dovrà contenere anche i bridge verso questi altri due servizi (e viceversa). È chiaro che questa non è la soluzione ideale dal punto di vista tecnico, perché rende le app più pesanti e più lente.
L’altra strada è quella di usare un protocollo di comunicazione (cioè un linguaggio ed un insieme di regole di conversazione) condiviso, che permetterebbe a qualunque fornitore di parlare con qualunque altro mantenendo la riservatezza “da un capo all’altro” per i messaggi degli utenti coinvolti. Concettualmente, è la stessa cosa che accade nel caso dei browser e dei siti web, che si scambiano informazioni attraverso il protocollo HTTPS (e il protocollo sottostante TLS) mantenendo la riservatezza della comunicazione. È questo che vi consente, qualunque sia il vostro browser, di operare sul sito della vostra banca online senza che malintenzionati possano intercettare i dati in transito. Tra l’altro, il protocollo usato da Signal è già liberamente disponibile, sia come specifica che nella sua implementazione in formato sorgente, il che implica che la sua sicurezza – essendo stata scrutinata da molti programmatori – è probabilmente maggiore di quella di protocolli le cui specifiche non sono conosciute e le cui implementazioni sono sotto forma di software proprietario. Un ulteriore punto di partenza è il protocollo in corso di standardizzazione da parte dell’IETF (Internet Engineering Task Force, è l’organo che definisce le regole tecniche per i sistemi che consentono il funzionamento di Internet) denominato Messaging Layer Security. In aggiunta, esistono già servizi di messaggistica di diversi fornitori che sono tra loro interoperabili perché basati su standard aperti quali Matrix e XMPP.
Insomma, non si partirà da zero e certamente la spinta fornita dal DMA, che si appli-cherà a partire da 6 mesi e 20 giorni dopo la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, quindi presumibilmente all’inizio del 2023, servirà a focalizzare gli sforzi in una direzione che va certamente a vantaggio dell’utente finale.
--Versione originale pubblicata su "Key4Biz" il 22 agosto 2022.