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domenica 10 aprile 2022

Informatica nella scuola: l’Europa è sulla strada giusta

di Enrico Nardelli

Mercoledì 6 aprile, a Bruxelles, insieme ai colleghi della coalizione europea Informatica per Tutti abbiamo presentato il Quadro di Riferimento per l’insegnamento dell’informatica nella scuola alla Direzione Generale Istruzione, Gioventù, Sport e Cultura della Commissione Europea.

Siamo particolarmente orgogliosi di essere stati invitati a questo evento, che è il primo degli incontri di consultazione con gli stakeholder che la Commissione sta organizzando in preparazione alla proposta di Raccomandazione del Consiglio sul miglioramento dell'offerta di competenze digitali nell'istruzione e nella formazione, la cui pubblicazione è prevista entro la fine del 2022.

Infatti, è dal 2012 che Informatics Europe (l’associazione europea dei dipartimenti universitari e laboratori industriali di ricerca che operano nel campo dell’informatica e dell’ingegneria informatica di cui sono il presidente) ha iniziato a lavorare, in collaborazione con lo ACM Europe Council (il Direttivo Europeo della Association for Computing Machinery – la più grande associazione internazionale di accademici e professionisti dell’informatica), sul tema dell’importanza di insegnare l’informatica nella scuola, allo scopo di poter garantire all’Europa una posizione di primo piano nella società digitale globale.

Nel 2018 abbiamo poi costituito la coalizione Informatica per Tutti, insieme al Council for European Professional Informatics Societies (CEPIS), e pubblicato un documento che ha proposto una strategia per la realizzazione dell’obiettivo di fornire a tutti i cittadini una formazione scientifica di base nell’informatica che sia allo stesso livello di quella che ricevono nella matematica e nelle altre scienze. Introdurre l’insegnamento dell’informatica sin dai primi anni di scuola è una tappa fondamentale di questa strategia, che è stata recepita dalla Commissione Europea nel suo Piano d’azione per l’istruzione digitale 2021-27 che, tra le più importanti azioni da realizzare, ha proprio elencato quella di «porre l'accento su un'educazione informatica inclusiva di elevata qualità a tutti i livelli di istruzione» (azione n.10). Parafrasando uno slogan che è alla base delle moderne democrazie con una parola chiave all’ordine del giorno in questi mesi, possiamo dire “no digital transformation without informatics education” (cioè, non è possibile alcuna trasformazione digitale senza l’insegnamento dell’informatica).

Alla coalizione ha aderito nel 2020 anche il Technical Committee on Education della International Federation on Information Processing (IFIP) ed insieme a loro abbiamo realizzato, sotto la guida di Michael Caspersen, collega danese attivo da moltissimi anni in questo settore, il Quadro di Riferimento presentato. Consapevoli che, da un lato, l’istruzione è un tema che a livello di Unione Europea rimane di competenza dei singoli Stati membri, e, dall’altro, sussiste nel continente europeo una grandissima varietà di linguaggi, culture e sistemi scolastici, ci siamo dati come traguardo la definizione non di un curriculum per l’insegnamento dell’informatica valido per tutte le scuole europee, ma di un quadro di riferimento di più alto livello, che fornisca una visione condivisa della disciplina consentendo al tempo stesso ad ogni Paese di realizzare il proprio curriculum in modo compatibile con la propria storia e tradizione. “Unità nella diversità” è stato il nostro motto.

Vediamo costantemente come il processo di costruzione di un consenso politico in Europa sia delicato e difficoltoso, giustamente, mi permetto di dire, considerando l’estrema eterogeneità dei popoli che la abitano. Definire quindi un insieme minimale di requisiti di alto livello al quale i vari curricoli nazionali dovrebbero attenersi ci è sembrato fosse la meta giusta per consentire ad ogni Stato di trovare la propria specifica strada, coordinando al tempo stesso i differenti percorsi, verso l’obiettivo comune di poter meglio competere nel mercato globale della società digitale attraverso un’efficace e rispettosa collaborazione e integrazione.

A questo scopo il quadro di riferimento è volutamente sintetico e flessibile. Elenca solo 5 traguardi di competenza che tutti gli studenti dovrebbero raggiungere al termine del percorso scolastico obbligatorio, facendo attenzione anche agli aspetti sociali delle tecnologie digitali, argomento la cui rilevanza sta diventando sempre maggiore. È pensato come una “mappa di alto livello” dell’informatica che individua un elenco di 11 “zone” (chiamate nel documento core topics = argomenti fondamentali), ognuna caratterizzata da una breve descrizione, congegnate in modo tale da essere robuste anche rispetto all’inevitabile evoluzione della disciplina. Successivamente, per molte di queste “zone” sono stati individuati alcuni “territori” (cioè, delle specifiche sotto-aree) particolarmente promettenti nella situazione storica contemporanea (un esempio per tutti: l’intelligenza artificiale per il core topic “sistemi informatici”) e che quindi possono anche essere oggetto della specifica articolazione nazionale del curricolo, così da renderlo attraente per gli studenti.

È stata posta particolare attenzione a stimolare i progettisti di curricoli verso la tematica dell’inclusione, dal momento che sempre di più, purtroppo, i sistemi digitali sono alla base di odiose discriminazioni sociali, raccomandando di far particolare attenzione allo squilibrio di genere che affligge la forza lavoro del digitale. Il Quadro di Riferimento è stato sottoposto all’attenzione delle varie comunità nazionali dei colleghi informatici e la versione finale – pubblicata a febbraio 2022 e per la quale abbiamo in programma la realizzazione di traduzioni nelle lingue nazionali – ha tenuto presente le osservazioni ricevute da 14 nazioni.

Nell’ambito dello stesso incontro, la Commissione ha esposto i risultati preliminari di un’indagine condotta a tappeto in tutti gli Stati membri sullo stato attuale dell’insegnamento dell’informatica nella scuola, che verrà pubblicata entro settembre 2022. Il documento stabilisce definitivamente che il nome della materia da insegnare nelle scuole è appunto “informatica” (quindi non “competenze digitali” o “pensiero computazionale” o altre espressioni largamente usate in questi anni che hanno però reso la situazione un po’ confusa), dal momento che la sua radice linguistica è la più diffusa per indicare questa disciplina in Europa. Tra gli aspetti cui fare maggiore attenzione, è emerso in modo chiaro il tema della formazione dei docenti all’insegnamento dell’informatica, su cui saranno necessari forti investimenti (come sta accadendo, ad esempio, nel Regno Unito), dal momento che si tratta di una materia sulla quale la maggior parte di loro non ha ricevuto alcuna formazione, né nell’ambito della loro carriera professionale né al tempo di quella scolastica.

Insomma, il cammino è iniziato e la strada da fare tanta. L’Europa ha indicato la direzione, non perdiamo tempo. È in gioco il nostro futuro.

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Versione originale pubblicata su "Key4Biz" il 7 aprile 2022.

domenica 3 aprile 2022

Dovremo davvero rinunciare alla segretezza delle comunicazioni col Digital Markets Act?

di Enrico Nardelli

Negli ultimi giorni ha iniziato a circolare nei media la notizia (è facile intuire chi possa aver avuto interesse a farlo) che l'implementazione di quanto previsto dal Digital Markets Act (DMA) (la legge europea sui mercati digitali in via di approvazione) metterebbe a rischio la segretezza delle comunicazioni tra gli utenti. Il DMA richiede, tra le altre cose, la totale interoperabilità tra le applicazioni di messaggistica e quindi permetterà, ad esempio, ad un utente di WhatsApp di mandare un messaggio ad un utente di Signal e viceversa. I due utenti sarebbero quindi in grado di comunicare rimanendo ognuno nella propria piattaforma. Il DMA richiede questa interoperabilità, senza costi o impedimenti aggiuntivi per gli utenti finali, non solo per la messaggistica (testuale, visuale o auditiva) legata ad un numero ma anche per qualunque servizio di relazioni sociali, su qualunque dispositivo tecnologico venga erogato. Ecco l’elenco dei servizi soggetti a tale misura: servizi di intermediazione, motori di ricerca, sistemi operativi, reti sociali, condivisione di video, sistemi di messaggistica, cloud computing, pubblicità online, browser web, assistenti virtuali, tv connesse. È evidente che per chi possiede un quasi monopolio di fatto in questi settori si tratti di una misura che rischia di indebolire moltissimo la loro posizione.

Si è quindi cominciato a dire: "Attenzione! Se realizziamo questo allora gli utenti dovranno rinunciare a comunicare tra loro in modo totalmente segreto!".

Attualmente, infatti, questi servizi sono protetti da una crittografia "da un capo all'altro" (end-to-end ) che consente di crittare il contenuto del messaggio sullo smartphone di partenza e decrittarlo solo sullo smartphone di destinazione, salvaguardando così il contenuto stesso da ogni possibile intercettazione. Osserviamo prima di tutto che questo è del tutto vero in teoria, ma nella realtà non lo è completamente perché se siamo nell'ambito di una stessa App proprietaria il software che svolge questa funzione è lo stesso su entrambi i dispositivi, realizzato da una stessa società, e non possiamo dire – dal momento che in generale non ne conosciamo il codice sorgente – se abbia o meno una "porta di servizio" (back door ) per consentire l'accesso a strumenti in grado di violare tale segretezza.

Ricordiamo che negli USA la loro giurisprudenza, con il CLOUD Act (Clarifying Lawful Overseas Use of Data Act = legge che chiarisce l’uso legale dei dati all’estero), consente a qualunque giudice statunitense di accedere a dati che ritiene rilevanti, anche qualora riguardino cittadini stranieri. C’è poi il FISA (Foreign Intelligence Surveillance Act = legge per il controllo dei servizi di raccolta di informazioni all’estero) che, nella sezione 702 autorizza le agenzie USA di raccolta di informazioni a recuperare – senza che sia necessaria l’autorizzazione di un giudice – qualunque informazione transiti su dispositivi digitali di cittadini stranieri fuori degli USA. Ovviamente, il tutto al “nobile scopo” di prevenire il terrorismo. Immaginate quindi cosa potrebbe accadere in Paesi con una democrazia meno salda di quella americana...

Andiamo oltre: se usiamo Signal, il cui codice sorgente è libero e aperto, possiamo essere sicuri che non ci siano "porte di servizio". Come funziona il meccanismo che permette di realizzare lo scambio sicuro di messaggi in Signal? Senza entrare in molti dettagli tecnici, è basato su un approccio teorico detto di "Diffie-Hellman", dal nome dei due informatici americani che lo inventarono nel 1976, che permette a due persone di scambiarsi, sotto gli occhi di tutti, una chiave segreta (che cioè nessuno conosce nonostante sia stata concordata alla luce del sole) da usare per cifrare i successivi messaggi. Si tratta di un approccio la cui robustezza è matematicamente dimostrata ed è alla base di molti sistemi crittografici.

E allora che cosa potrebbe accadere se App di fornitori diversi fossero costrette a "parlarsi" mantenendo la segretezza delle conversazioni? Beh, certamente i produttori dovrebbero adeguarle a questo requisito, usando l’approccio di Diffie-Hellman o altri equivalenti inventati in seguito, il che è tecnicamente del tutto possibile, nonostante gli alti lamenti che si stanno sentendo. È ovviamente solo una questione di soldi. Da un un punto di vista tecnologico, già adesso accade che con un qualunque browser (chiunque sia il suo produttore) possiate connettervi al sito web di una qualunque banca con la certezza che i vostri dati non siano intercettati da nessuno. Oppure, considerate la posta elettronica, nella quale la completa interoperabilità tra i fornitori già esiste, perché fortunatamente il suo sviluppo è avvenuto prima dell'esplosione popolare di Internet all'inizio di questo secolo. Ebbene, esistono fornitori di servizio di posta elettronica (ma non quelli dei suddetti monopolisti!) che vi danno la possibilità di comunicare in modo assolutamente segreto con chiunque abbia un indirizzo di posta elettronica presso un qualunque altro fornitore.

Non si venga quindi a dire che non si può. Certo non è né immediato né facile. Lo snodo è che chiaramente alcuni che negli ultimi vent'anni hanno accumulato profitti – che li rendono economicamente potenti quanto uno Stato nazionale – non vogliono perdere la loro posizione di privilegio.

Nulla in contrario che quelli bravi e svegli facciano profitti, ma non a costo di rimanere ingabbiati a vita con uno stesso fornitore di servizio.

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Versione originale pubblicata su "Key4Biz" il 31 marzo 2022.