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martedì 17 ottobre 2023

Intelligenza artificiale generativa: tra Borges e il ritorno dell’oralità

di Enrico Nardelli

Tutti, o almeno lo spero, conoscono il famoso racconto di Borges “La biblioteca di Babele” (una delle più belle sintesi di letteratura e matematica) in cui l’eccelso scrittore argentino rappresenta questa biblioteca immaginaria che, estesa infinitamente in tutte le direzioni, contiene un numero infinito di volumi con tutte le possibili combinazioni di caratteri, racchiudendo quindi tutta la conoscenza del mondo, anche quella di cui non siamo ancora consapevoli, e tutte le sue variazioni e negazioni.

Nel corso di una recente tavola rotonda interdisciplinare organizzata dai colleghi dell’università Milano Bicocca, in cui si è parlato di intelligenza artificiale generativa (IAG) e formazione universitaria e di come gestire la presenza dell’IAG nella produzione delle tesi di laurea, ho prima osservato che nell'ultimo ventennio il processo di produzione delle tesi si è evoluto, con l'ubiqua diffusione delle tecnologie digitali, dal passare lunghe giornate in biblioteca allo scandire la rete attraverso i motori di ricerca. Uno scatto in avanti enorme, perché ha messo le biblioteche di tutto il mondo a portata delle nostre dita digitanti. Poi ho aggiunto che sta avvenendo adesso un altro balzo almeno della stessa portata e probabilmente superiore, visto che l’IAG (di cui ChatGPT è l'esempio più noto) oltre che riportarci questa conoscenza è anche in grado di farne estratti e sommari e concatenarla in argomentazioni.

In un certo senso, quindi, è come se adesso avessimo a disposizione con l’IAG una biblioteca "attiva" dotata di super-poteri. È un passaggio dello stesso tipo di quello, descritto nel mio libro "La rivoluzione informatica", che è avvenuto nel passaggio dalla conoscenza passiva contenuta nei libri alla conoscenza attiva contenuta nei programmi software ("conoscenza in azione", l'ho chiamata). Con i libri, erano le persone, dopo aver assimilato i libri, a far agire nel mondo la conoscenza passiva contenuta in essi. Con i programmi informatici, chiunque li abbia a disposizione, può ottenere lo stesso effetto, anche se non ha assimilato la conoscenza in essi contenuta, mandandoli in esecuzione su un dispositivo digitale. Con l’IAG potete produrre dei nuovi testi anche su argomenti di cui sapete poco o niente.

C’è purtroppo il problema che alle volte l’IAG racconta fatti che non sono accaduti e cita opere che non esistono. È stato chiamato “allucinazione”, per analogia con l’omonimo fenomeno che capita alle persone, e costituisce il principale tallone d’Achille di questa potente tecnologia ed elemento di estrema attenzione nel suo uso in campo educativo. Per altri versi, penso che Borges forse avrebbe apprezzato le capacità dei sistemi di IAG di mescolare e combinare frammenti di testi esistenti producendo variazioni a non finire. Sono sicuro che i creativi in ogni campo, anche se giustissimamente preoccupati dalle spinose questioni di diritto d’autore che l’IAG sta sollevando, ne apprezzino queste capacità.

Con i colleghi coinvolti nella tavola rotonda ci siamo interrogati su cosa dover cambiare nel modo di fare didattica all’università. Per la scuola è un discorso di altro tipo, che affronterò in un successivo articolo. Nella mia visione dei sistemi informatici, quindi anche di quelli che appartengono alla classe dell’IAG, come “macchine cognitive”, ovvero come meccanismi in grado di potenziare le nostre capacità puramente razionali e logiche, una volta che uno studente sia arrivato a padroneggiare la competenza specialistica di un certo insegnamento universitario, non ritengo sensato proibire l’utilizzo di un ausilio meccanico che gli allevii la fatica mentale di produrre un certo elaborato.

Purché, lo ripeto dal momento che è il punto centrale, padroneggi la materia. Solo in questo caso, infatti, può rendersi conto se qualcosa, in ciò che l’IAG ha prodotto è un’allucinazione. Ad alto livello di astrazione non cambia molto, quando si usano sistemi di IAG rispetto all’uso di una biblioteca. La responsabilità finale di un testo è sempre dell’autore che lo produce, qualunque sia le basi su cui si è poggiato: biblioteca standard o biblioteca “attiva” con super-poteri. Se in biblioteca non si trovano gli articoli o volumi più appropriati, se si copia pedissequamente il testo senza citare, lo studente ha comunque svolto male il suo lavoro. Se con l’IAG non si attua quel controllo che può derivare solo da un’approfondita conoscenza della materia, si fa lo stesso tipo di errore. Forse più grave, perché il mezzo è più potente e, come ripete sovente un noto personaggio dei fumetti, «da un grande potere derivano grandi responsabilità».

Abbiamo però convenuto che, soprattutto a livello di lauree triennali, richiedere il tradizionale elaborato finale, ovvero la tesi, rischia di non avere più senso, dato che la fatica di metterlo insieme a partire dal materiale di base – lavoro che poi determina che lo studente lo assimili e lo faccia suo – può essere quasi tutta delegata all’IAG, circostanza che ne rimuove i potenziali benefici.

Ritengo che sia invece importante riportare l'enfasi sulla capacità della persona di esibire "sul momento" le competenze il cui possesso veniva tradizionalmente attestato dalla scrittura della tesi. "Hic Rhodus, hic salta " viene ricordato nella favola di Esopo allo spaccone che si vantava di essere stato in grado di fare un salto prodigioso a Rodi: se è vero, puoi rifarlo dovunque, anche qua.

Sono convinto che, con l’avvento dell’IAG, siamo di fronte a un momento storico, per certi versi speculare a quello avvenuto circa 2500 anni fa, quando la scrittura prese il sopravvento, come mezzo primario di comunicazione, rispetto alla parola. Quella transizione, di cui abbiamo testimonianza, tra le altre, in memorabili pagine dei Dialoghi di Platone del quarto secolo avanti Cristo, è stata il primo passo per la diffusione della cultura e il progresso dell’umanità. Tuttavia, il filosofo ateniese riporta nel Fedro la posizione di Socrate che ritiene la parola scritta inferiore a quella orale, soprattutto se l’oralità è esercitata dialetticamente, poiché lo scritto non è in grado di rispondere a chi lo interroga e serve essenzialmente come ricordo a chi già sa le cose, mentre la parola detta è posseduta “nell’anima” di chi la pronuncia ed è quindi in grado di aiutare chi ha necessità di conoscere.

Ritengo che la disponibilità degli strumenti di IAG possa ridare forza e valore all’oralità, considerato che con tali strumenti tutti sono in grado di produrre ed esibire testi scritti che sembrano certificare il possesso di qualsivoglia competenza. Se tutti sono in grado di realizzarli, la loro presenza non è più in grado di dimostrare alcunché, come nella critica di Socrate al testo scritto. Ma se il loro autore viene interrogato e sollecitato, allora si vedrà chi davvero possiede la conoscenza “nell’anima” e chi è solo in grado di ripetere “sempre la stessa cosa”. Ecco perché penso che nell’accademia ritorneremo, in una qualche misura, a quella tradizione praticata proprio nella prima Accademia della storia.

È chiaro che la scrittura, soprattutto con l’incredibile potenziamento causato dall’invenzione della stampa a caratteri mobili ad opera di Gutenberg nel quindicesimo secolo, manterrà sempre un ruolo importante per la diffusione della conoscenza.

Ma trovo molto bello che, in una quale misura, proprio le ultime e più sconvolgenti innovazioni della tecnologia digitale stiano ridando valore a qualcosa di molto antico, a ciò che solo le persone possono avere: il rapporto umano e il dialogo orale.

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Versione originale pubblicata su "StartMAG" il 14 ottobre 2023.

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