di Enrico Nardelli
Risposta breve: entrambe. Domanda: ma non sono la stessa cosa? No, ma molti nella scuola e nella società non ne sono consapevoli.
Nel mondo della scuola, in particolare, c’è confusione tra i due aggettivi “informatiche” e “digitali” ed i relativi sostantivi. Ma non è affatto colpa dei docenti, né cercare chi sia il colpevole ha una qualche utilità. Nel corso del recente Seminario Nazionale del MIUR su “Cittadinanza e cultura digitale”, uno dei valenti colleghi al tavolo dei relatori ha ricordato come nel corso degli ultimi 30 anni nella scuola si sia parlato di competenze informatiche e di competenze digitali intendendo di volta con l’uno o l’altro termine: la capacità di programmare in Pascal, di usare Word, di scrivere e-mail, di fare coding, di usare consapevolmente i social, e così via. Non è sorprendente quindi che molti dei dibattiti e degli interventi di comunicazione su queste tematiche dicano cose tra loro contrapposte.
Allora nella mia presentazione ho ricordato prima di tutto l’etimologia delle due parole: “digitale” si riferisce alla rappresentazione di un dato mediante un simbolo numerico, mentre “informatico” si riferisce alla capacità di elaborazione automatica dei dati resa possibile dai metodi e dalle teorie dell’informatica, che è una disciplina scientifica. Rappresentare dati attraverso simboli numerici non è una novità degli ultimi decenni. Lo facevano i Babilonesi per il calcolo delle orbite astronomiche e gli antichi Egizi per il calcolo delle superfici dei terreni, ognuno con il loro sistema di rappresentazione. La novità è la possibilità di elaborare queste rappresentazioni in modo automatico (cioè l’informatica), come se fosse all’opera un gigantesco complicatissimo orologio.
È chiaro a tutti che l’orologio è un mero esecutore meccanico di un calcolo pensato e progettato dall’uomo, e che un orologio non “sa” cosa siano e cosa rappresentino e a cosa servano i diversi ingranaggi che lo costituiscono. Ma la realizzazione dei computer, grazie all’informatica, consente di avere, per la prima volta nella storia dell’umanità, un sistema automatico che, manipolando simboli di cui ignora il significato secondo istruzioni di cui ignora il significato, trasforma dati che hanno significato per l’uomo. Si ottiene quindi una “macchina cognitiva”, che realizza, cioè, operazioni di natura cognitiva. Si tratta di una vera e propria rivoluzione, la “rivoluzione informatica”, che ho caratterizzato come la terza "rivoluzione dei rapporti di potere".
Adesso si chiede alla scuola di adeguarsi al fatto che siamo in una società digitale e quindi deve preparare cittadini digitali. Cosa fare? Servono “competenze digitali” o “competenze informatiche”? Per chiarirci è bene rifarci all’etimologia sopra ricordato. Le competenze digitali sono tutte quelle relative all’uso di tecnologie che manipolano dati in forma numerica: sono quindi competenze operative. Invece le competenze informatiche sono quelle attinenti ai princìpi e alle tecniche dell’informatica: sono pertanto competenze scientifiche. Servono entrambe, ma hanno scopi diversi.
I documenti dell’Unione Europea in proposito fanno purtroppo un po’ di confusione, mescolando gli aspetti operativi e quelli scientifici. Non è una mia opinione. Leggendo, ad esempio, la Raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea del 22 maggio 2018 si vede che la programmazione viene considerata una competenza digitale quando si tratta invece di una parte fondamentale dell’informatica, quindi di una competenza scientifica. Considerare la programmazione informatica come una competenza operativa invece che come uno degli elementi fondamentali dell’informatica, che è disciplina scientifica, equivale a degradare l’aritmetica ad una competenza operativa (quella della tabellina pitagorica). Negli Stati Uniti, in UK e in molti altri paesi avanzati la differenza è invece chiara.
In questi paesi si considera, correttamente, l’attuale società digitale come un’evoluzione della società industriale. Quest’ultima è stato il risultato della trasformazione della società agricola sotto la spinta della rivoluzione industriale. La società digitale è ancora una società di macchine, ma di tipo digitale, le “macchine cognitive”. Per preparare i cittadini alla società industriale, nei due secoli passati, non sono state date agli studenti competenze operative sui macchinari industriali, ma sono state inserite nelle scuole le discipline scientifiche che ne spiegavano i princìpi scientifici alla base. Allo stesso modo, per preparare i cittadini a comprendere appieno la società digitale serve inserire nella scuola la formazione sulla disciplina scientifica che la spiega e che l’ha resa possibile: l’informatica. Questo non nega che nella scuola servano anche le competenze digitali, il livello operativo. È bene averle, e sono trasversali a qualunque disciplina, perché in ogni materia il docente può avvantaggiarsi nella sua attività didattica e di gestione dal possesso di un buon livello di competenze digitali.
In conclusione, certamente la scuola deve formare le competenze digitali degli studenti (livello operativo) e deve assicurarsi che le posseggano anche i loro docenti, di ogni materia. Però è assolutamente necessario fornire un’istruzione informatica agli studenti (livello scientifico), per renderli in grado di partecipare in modo attivo e informato alla società digitale.
--
Versione originale pubblicata su "Il Fatto Quotidiano" il 13 marzo 2019.
Nessun commento:
Posta un commento
Sono pubblicati solo i commenti che rispettano le norme di legge, le regole della buona educazione e sono attinenti agli argomenti trattati: siamo aperti alla discussione, non alla polemica.