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sabato 8 marzo 2025

A passeggio con l’informatica #22 – Si fa presto a dire digitale

di Enrico Nardelli

Dopo aver esaminato negli ultimi articoli prima di questo il significato della rivoluzione informatica, i vari significati del termine intelligenza per le macchine e per l’uomo, e l’importanza di non concentrarsi solo sui temi di moda, inizio ad affrontare con questo post le sfide che ci vengono poste dalla crescita e dallo viluppo della società digitale, citando alcuni riferimenti storici.

A fine 2019 abbiamo celebrato i 50 anni della “rete delle reti”, quell’Internet la cui data di nascita è stata convenzionalmente fissata al 29 ottobre 1969, quando il primo collegamento tra computer remoti fu stabilito tra un calcolatore della UCLA (Università della California a Los Angeles) e uno dello SRI (Stanford Research Institute). Con quella prima trasmissione era nata Arpanet, la rete di comunicazione tra calcolatori il cui sviluppo fu finanziato dal Ministero della Difesa americano per dotare il Paese di un sistema di comunicazione estremamente resistente agli attacchi nemici, che negli anni 90 sarebbe diventata Internet e che – grazie anche alla diffusione planetaria del World Wide Web – nel primo decennio del nuovo secolo avrebbe superato il miliardo di utenti.

La prima pietra di una rivoluzione sociale, oltre che tecnologica, era stata posata, anche se per diversi decenni è sembrato che fosse solo uno strumento. Ma un artista visionario come David Bowie, nel corso di un’intervista alla BBC del 1999, la definì «una forma di vita aliena, … la nascita di qualcosa di esaltante e terrificante » . Spesso gli artisti vedono con chiarezza ciò che scienziati e tecnologi non riescono ad afferrare bene, soprattutto quando si parla dell’impatto sociale delle loro scoperte. Gioca a loro favore l’essere più allenati a cogliere queste sfumature delle conseguenze del progresso sulle persone e sulle relazioni umane, ma va anche tenuto presente che si tratta comunque di pronostici estremamente difficili.

Quest’anno ricorrono i 70 anni dell’introduzione del termine “intelligenza artificiale”, apparso nella proposta di ricerca che mirava a ottenere un «significativo avanzamento» di «ogni aspetto dell’apprendimento o di ogni altra caratteristica dell’intelligenza » lavorandoci «con un gruppo attentamente selezionato di scienziati per un’estate ». Sicuramente sono stati fatti enormi progressi, ma è ancora presto per dire in che misura essa determinerà un cambiamento della società così importante quale quello determinato dall’avvento di Internet.

È infatti difficilissimo capire dove le tecnologie informatiche ci porteranno, non dico tra 50 anni, ma anche solo tra 10 o 20. Basti pensare che nel 1999 Amazon stava muovendo i primi passi, Google era appena nato e Facebook non era ancora stato concepito.

Il vero problema è che ci stiamo dimenticando che l’uomo dovrebbe sempre rimanere il fuoco di ogni iniziativa di progresso tecnologico, mentre queste novità digitali che sembrava dovessero portarci in un futuro migliore stanno viceversa ingabbiando sempre di più la nostra vita quotidiana. La digitalizzazione apre opportunità senza precedenti alla società, ma pone anche serie preoccupazioni.

Si tratta di una sfida prima di tutto sociale e politica e solo in seconda istanza scientifica o tecnologica, perché la dimensione digitale è ormai sempre più intrecciata con le varie dimensioni sociali, che coprono tutti i vari rapporti (economici, giuridici, culturali, …) che si stabiliscono tra le persone . Questa dimensione, che è quella in cui sono presenti i dati digitalizzati, definisce quindi uno spazio sociale che, come tale, può essere costruito secondo diverse visioni. Ritengo quindi del tutto naturale che i governi vogliano attuare la loro attività di indirizzo e gestione anche nei confronti del digitale.

Così come ogni nazione protegge le proprie risorse naturali così dovrebbe fare con quelle digitali, inclusi i dati dei propri cittadini. Quando nel 2019 ho cominciato a sollevare l’attenzione su questi temi, molti li minimizzavano etichettandoli come “populisti” e “sovranisti”, mentre adesso sono diventati rilevanti.

Ritenevo e ritengo assolutamente legittimo e doveroso che uno Stato governi lo spazio digitale così come governa lo spazio fisico, visto che mondo naturale e mondo digitale sono ormai compenetrati e vanno gestiti insieme. Nella società digitale chi controlla i dati controlla la società.

Come diremmo se i governanti vendessero i propri cittadini a poteri stranieri? È lecito che questo accada nella dimensione digitale? A quali fini deve essere asservito il controllo e il governo di infrastrutture e dati digitali? Si ripete spesso negli ultimi anni che “i dati sono il nuovo petrolio”. Ma se questi dati sono quelli delle persone è corretto (socialmente, eticamente e politicamente) considerarli come una merce? Le persone sono una merce? C’è una scarsissima consapevolezza di questi aspetti, se in un famoso esperimento un negozio ha venduto oggetti a clienti che pagavano . Chiedo scusa in anticipo se il paragone è macabro, ma vi privereste di un dito per comprare un’automobile?

Aggiungo una notazione di tipo psicologico a proposito dei fanatici del digitale, entusiasti di poter registrare e tenere sotto controllo ogni loro attività. Passare dal tracciamento dei battiti cardiaci durante la corsa a un controllo sanitario totale ogni anno, o da una semplice telecamera di sorveglianza alla porta di ingresso a una rete di sentinelle robotiche è solo una questione di denaro. Farlo dà l’illusione di poter controllare il futuro, rimuovendo le minacce esistenziali. Ma non è un comportamento produttivo.

Come per altri grandi temi sociali, è compito della politica decidere cosa fare. Nella sfera del digitale, io sono solito ricordare una citazione di Evgenj Morozov (sociologo di origine bielorussa tra i più acuti e profondi nell’analisi del mondo digitale) che nel suo libro “I signori del silicio” ha scritto «per un partito di massa odierno, non curarsi della propria responsabilità sul digitale equivale a non curarsi della propria responsabilità sul futuro stesso della democrazia ».

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Versione originale pubblicata da "Osservatorio sullo Stato digitale" dell'IRPA - Istituto di Ricerche sulla Pubblica Amministrazione il 5 marzo 2025.

sabato 1 marzo 2025

A passeggio con l’informatica #21 – Non di sola IA vive un Paese

di Enrico Nardelli

Abbiamo discusso nel post precedente alcuni aspetti che sono esclusivi dell’intelligenza umana, in quanto espressione di una mente incarnata in un corpo fisico con le caratteristiche della nostra razza umana.

Aggiungo qui solo un accenno al fatto che vi sono poi tutta una serie di altri valori, che possiamo chiamare di “intelligenza sociale”, che danno senso alle società umane in quanto fatte da persone, quali, ad esempio, la compassione, la solidarietà, l’immaginazione, l’umorismo, e così via, che mi appaiano anche questi totalmente al di fuori della portata delle macchine cognitive, in generale, e in particolare di quelle che posseggono ciò che chiamo intelligenza meccanica, universalmente nota come intelligenza artificiale.

Nonostante queste limitazioni, le macchine cognitive – e in modo particolare quelle che utilizzano le tecniche dell’intelligenza artificiale – si diffonderanno sempre di più, per la loro indubbia utilità, mentre le persone cambieranno il tipo di lavoro che fanno. Ciò va inteso nel senso che il loro lavoro vedrà in misura sempre maggiore l’utilizzo di macchine cognitive, per coadiuvare l’uomo nelle attività intellettuali di routine. Si tratta di un processo analogo a ciò che è accaduto in passato, sia recente che remoto, con sempre più lavoro manuale, precedentemente svolto direttamente dall’uomo, sempre più affidato a macchine industriali, mentre l’uomo manteneva un ruolo di controllo e supervisione.

Per questo è della massima importanza che ogni persona sia appropriatamente istruita e formata sulle basi dell’informatica, la disciplina scientifica che rende possibile la progettazione e realizzazione delle macchine cognitive. Solo in questo modo ognuno sarà in grado di capire la differenza tra ciò che tali macchine possono fare e ciò che non devono fare. Infatti, mentre la terza rivoluzione dei rapporti di potere ha consegnato alle macchine cognitive il predominio sulla specie umana nella dimensione della razionalità pura, nella società umana ci sono molte altre dimensioni altamente rilevanti oltre a questa, l’unica in cui agiscono le macchine cognitive. Affinché l’umanità possa continuare a dirigere e governare il proprio futuro dovrà fare attenzione a non perdere la consapevolezza di questa sua specificità. A tal scopo, è necessaria una corretta formazione sin dai primi anni di scuola sulle basi scientifiche dell’informatica e sull’impatto sociale delle sue tecnologie. Riprenderemo il tema di come governare nel miglior interesse dell’umanità lo sviluppo dei sistemi informatici in un successivo articolo.

Richiamo l’attenzione su un aspetto particolarmente importante in questo momento, in cui i sistemi di intelligenza artificiale sono sulla bocca di tutti per le loro impressionanti prestazioni, che sono dovute all’enorme quantità di dati disponibili, agli avanzamenti nella tecnologia dei processori e ai progressi delle tecniche algoritmiche dell’apprendimento profondo (deep learning ). Si tratta di ritenere che un Paese per essere all’avanguardia nella società digitale abbia bisogno solo di “sistemi intelligenti”. Nella storia della tecnologia in generale e di quella informatica in particolare, vi sono momenti nei quali sembra che un certo approccio sia quello assolutamente vincente, salvo poi scoprire, magari dopo una decina d’anni, che si è un po’ esagerato.

Non sto assolutamente negando l’importanza di questo settore dell’informatica, ed è vitale investire in esso, ma non possiamo dimenticarci che alla base di tutto il mondo digitale ci sono i “normali” sistemi informatici, il cui stato di realizzazione lascia molto a desiderare e ai quali bisognerebbe fare molta più attenzione. In molte nazioni che nell’ultimo decennio hanno cominciato a stanziare somme molto ingenti di denaro per la ricerca nell’area dell’intelligenza artificiale, gli analisti più attenti hanno osservato che tali sforzi non devono accadere a discapito del miglioramento di sistemi informatici che non funzionano proprio come dovrebbero. Investire solo sulla realizzazione di sistemi basati sull’apprendimento automatico (machine learning ), quando l’informatizzazione tradizionale ancora non funziona come dovrebbe, è un po’ come comprarsi una Ferrari dimenticandosi di avere scarpe bucate e vestiti rovinati.

Per un professionista o una piccola azienda penso che sia più molto più rilevante avere la capacità di organizzare efficacemente i propri dati in modo autonomo e di poter realizzare semplici elaborazioni con programmi informatici sviluppati da soli. È di queste competenze di base, analoghe a quelle di saper scrivere una relazione o mantenere una semplice contabilità, che ritengo ci sia bisogno per attuare sul serio la trasformazione digitale, più che di intelligenza artificiale o di una delle molte parole inglesi alla moda che si sentono sempre più frequentemente sui media in questi anni.

Riprenderemo il tema dell’impatto dell’informatica sul mondo del lavoro in un prossimo post.

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Versione originale pubblicata da "Osservatorio sullo Stato digitale" dell'IRPA - Istituto di Ricerche sulla Pubblica Amministrazione il 26 febbraio 2025.