I cambiamenti introdotti dall'uso massiccio delle tecnologie dell'informazione riguardano non solo le singole persone ma le organizzazioni lavorative nel loro complesso, strutturate sempre più su base tecnologica.
Spesso però ci si dimentica che le persone restano l'elemento chiave e trainante di tutte le organizzazioni.
Persone e tecnologie rappresentano un binomio che deve essere in grado di funzionare, rispettando i limiti degli uni e degli altri e facendo leva sui reciproci punti di forza.
E’ indubbio che le tecnologie sono indispensabili al nostro vivere quotidiano.
Ma è altrettanto vero che esse si evolvono con una rapidità impressionante, al punto da rendere difficoltoso l'adattamento cognitivo degli “umani”, i quali si trovano ad inseguire i cambiamenti tecnologici in una corsa contro il tempo (e contro ogni possibilità di vittoria!) . Negli ambienti lavorativi la sfida è all’ordine del giorno, dal momento che per lavorare bene è necessario essere aggiornati e informati, anche sugli strumenti tecnologici usati.
L'obiettivo è la produttività, ma l'altra faccia della medaglia è la salute dei lavoratori.
Le tecnologie, se impiegate senza tener conto dei naturali limiti dell’essere umano, possono rappresentare un fattore di rischio stress nelle organizzazioni.
Nel 1984 lo psicologo Craig Brod introdusse il termine tecnostress per indicare lo stress indotto dall’uso delle tecnologie, specie informatiche.
Successivamente il concetto è stato ripreso anche da altri studiosi. Tra questi gli psicologi Michelle Weil e Larry Rosen (1998) che hanno ampliato il significato del fenomeno tecnostress evidenziandone l’impatto negativo su atteggiamenti, pensieri, comportamenti e sul fisico causati direttamente o indirettamente dalla tecnologia. O ancora Salanova et. al (2007) che interpretano il tecnostress come una condizione psicologica negativa associata all'uso delle tecnologie e caratterizzata da ansietà, fatica mentale, sfiducia e percezione di inefficienza.
A distanza di oltre 25 anni dall’osservazione di Brod è necessario sviluppare ulteriori riflessioni.
La posta elettronica da evadere quotidianamente ha raggiunto una mole spaventosa, così come la quantità di informazioni alle quali si è esposti (con il rischio di sovraccarico informativo).
Si dice che l'individuo può scegliere quando staccare la spina, ma è davvero possibile?
Nel privato egli può decidere ad esempio, di spegnere il suo smartphone, ma sul lavoro tale scelta sarà condizionata dal fatto che i processi aziendali, dalla produzione alla commercializzazione, alla comunicazione interna fino al rapporto con gli stakeholder, includono necessariamente l’impiego di tecnologie per lo svolgimento di tali processi. Senza contare che i dispositivi tecnologici, in continua evoluzione, richiedono aggiornamenti continui (e dunque una certa dimestichezza) da parte di chi ne fa uso, pena l’impossibilità di svolgere la propria attività lavorativa, o comunque, di svolgerla al meglio.
La variabile tecnologica non può essere trascurata in relazione al tema dello stress, dal momento che, oltre ai ritmi e alle modalità imposte dalla scelta di un uso sempre più ampio di strumenti tecnologici, gli stessi rischiano di tramutarsi in fattori di stress se percepiti come invasivi o oppressivi.
La normativa in tema di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (D. Lgs. 81/2008) obbliga le imprese alla valutazione del rischio stress lavoro-correlato, tema che in questi anni ha stimolato (e scatenato!) ampi dibattiti.
Ci si chiede a questo punto: le tecnologie dell'informazione debbono essere ricomprese in una valutazione del rischio stress? E se sì, con quali metodologie?
Il tema è certamente complesso. Tuttavia, tenendo conto della rilevanza della componente tecnologica nelle organizzazioni lavorative, nell’ottica di una valutazione dello stress lavoro-correlato che prenda in considerazione tutti i fattori di rischio, è opportuno cominciare ad adottare una visione integrata di tipo psicosociale e tecnico.